Sweet Home è un semi-sconosciuto gioco di Capcom del 1989, uscito solo in Giappone per Famicom.

È considerato il primo survival horror, un termine che verrà ufficialmente coniato soltanto in occasione dell’uscita di Resident Evil, ovviamente in epoca Playstation. Non è un caso che però Sweet Home venga considerato il capostipite di questo sotto-genere: Resident Evil nasce proprio come remake di Sweet Home! Naturalmente lo sviluppo poi prese altre strade, ma alcuni elementi sono rimasti: una grande villa da esplorare, puzzle ambientali dove occorre reperire chiavi e risolvere enigmi, scontri dove il nemico è eccezionalmente potente e a volte la fuga è la strategia che premia maggiormente.

Sweet Home è però una sorta di JRPG a turni, dove guidiamo un party di 5 personaggi che scelgono di indagare sul mistero dei dipinti di un misterioso artista, racchiusi in una sinistra magione infestata dagli spiriti malvagi.

Ogni personaggio ha un’abilità specifica, costituita da un oggetto speciale. C’è chi può scattare fotografie, chi può aspirare pericolosi vetri accuminati o pulire dallo sporco (si, un superpotere incredibile), chi possiede una sorta di chiave universale (un po’ come i grimaldelli di Jill Valentine in Resident Evil), chi ha un accendino in grado di bruciare corde e altri ostacoli.

Il gioco è tutt’altro che semplice: i combattimenti sono duri e non perdonano. Non ci sono abilità di cura (l’unico medico del party cura soltanto gli status) e occorre affidarsi alle pozioni che si trovano in giro, in numero scarso e limitato. La morte è permanente, e perdendo un membro del party si perde anche la possibilità di usare la sua abilità, salvo trovare un oggetto sostitutivo, che però va a occupare il preziosissimo e scarsissimo spazio nell’inventario di qualche altro personaggio.

Sono molto interessanti le meccaniche di comunicazione tra i gruppi: si può creare un gruppo di 3 personaggi al massimo, quindi occorre creare almeno due gruppi, essendo i personaggi 5. Se uno dei gruppi è impegnato in una battaglia, sarà possibile chiamare l’altro gruppo a dare manforte e condividere i punti esperienza. Questa strategia è estremamente vantaggiosa perché permette una crescita del party uniforme, e durante questi spostamenti non sono previsti incontri occasionali. C’è anche la meccanica della preghiera: ogni personaggio ha i propri punti preghiera, che possono essere recuperati con le stesse pozioni di cura. Tramite la preghiera, potremo causare più danni, o effettuare speciali azioni fuori dal combattimento.

La storia è sorprendente, considerando l’anno e la console su cui è uscito, e con una buona guida alla mano si riesce abbastanza agevolmente a completare.

Dateci un’occhiata. Si trovano ottime fan translation in rete, ed è un gioco che merita di essere riscoperto, non fosse altro che per l’eredità che ci ha lasciato.